Non semplici nature morte, ma creature pittoriche, realtà cromatiche, che vivono di una particolare luminosità e trasparenza, piccoli oggetti nelle trame del quotidiano, emblemi di una coscienza pacificata con se stessa e con il mondo, paga delle piccole cose -e non di pessimo gusto-, ma di cose che evocano il piacere della qualità, del pulito, del composto. Questo si legge nelle tele di Paola Boni. E non è poco in un mondo come il nostro, dominato da ben altre componenti. Nei suoi dipinti la fa da padrone il vetro, che, stimola ad una gara serrata il pennello, per ottenere un gioco di trasparenze e di vibrazioni in coppia con la fluidità dei liquidi: bicchieri, boccali, bottiglie, sono presenti quasi in ogni quadro, icona costante che serve all’artista per misurarsi con la sua raffinata abilità: ed ecco la condensazione della luce, le sue vibrazioni, ottenute con pennellate precise e ben contornate, ecco la lucentezza della ceramica o della porcellana. E ne viene fuori una pittura lessicalmente limpida, immersa in una struttura spaziale costruita e delimitata con sicurezza di segno, in cui a prevalere è l’armonia della composizione e l’estrema pulizia del colore, che illumina e si impone con scelte appropriate, anche nei fondi. I contorni si fanno ammirare per la precisione morbida con cui sono ottenuti, la concretezza della materia appare delicatamente stemperata, le cose si sono scarnificate del loro peso, per bearsi di una leggerezza dell’essere che sfiora la metafisica. E sì, perché se oggi si parla del ritorno di un nuovo neo-realismo, che rivuole la rappresentazione concreta del reale, che mescola documento e inventiva, per affondare visivamente nell’essenza della verità, per la Boni si può parlare forse di un’inclinazione neo-novecentesca, che sa pure usare, mescolandovela, qualche corda fantastica e visionaria con tocchi tutti suoi, sovvertendo con intrusioni extra-vaganti il comune accostamento delle cose, dando vita perfino a tocchi di divertita ironia. Sembra ricordare a volte certe lucentezze degli oggetti di Morandi o certa pulizia e plasticità di contorni di Donghi o Tozzi o Casorati. Ma la gara col mezzo fotografico, specialmente nelle vere e proprie nature morte, disvela invece la contemporaneità del segno, il margine minimo che oggi esiste tra mezzi di rappresentazione diversi, le loro contaminazioni, proprie della post-modernità. L’esplosiva vitalità di frutti nel pieno della loro maturità, l’acqua e il vino con il loro simbolo di vita e di rigenerazione, il vetro o il cristallo che rimandano alla purezza, alla chiarità del pensiero e alla lucidità dello spirito rivelano, senza possibilità di dubbio, la positività della visione della Boni, come già si diceva: nei suoi dipinti le singole immagini, proprio per la tipologia della loro realizzazione, non possono non disvelare i profondi significati metaforici, che, pur nella immediata semplicità del quotidiano, nascondono: sta a noi entrarci dentro e cercare di decodificare quei simboli invisibili, simboli che ogni opera d’arte, non di mero dilettantismo, racchiude.
Anna Maria Ruta